Presidio Slow Food “Oca in onto”
Un tempo nelle campagne venete si allevavano oche bigie oppure pezzate grigie e bianche, soppiantate nel tempo dalle grandi romagnole bianche. Con le oche si producevano salumi e prosciutti (i parsuti, in dialetto) – soprattutto dove erano presenti comunità ebraiche – e, in tempi più recenti, anche paté di fegato. Utilizzando tutte le parti del volatile si realizzava una particolare conserva: l’oca in onto, buona per conservare le carni molti mesi. Niente di diverso da ciò che in Francia viene definito confit. Quella dell’oca in onto era una produzione invernale realizzata dalle donne di famiglia che occupavano i tempi morti della pausa stagionale per preparare conserve di cibo sostanziose da consumare poi in estate.
Ai primi di novembre, per San Martino, si macellavano e si mangiavano le prime oche. Ma San Martino era – ed è ancora oggi – anche la festa di chiusura dell’annata agraria, il momento in cui venivano fatti i conti con il padrone e in cui si festeggiava un’eventuale buona annata. Tutto questo veniva celebrato con piatti a base di maiale oppure di oca, il “maiale dei poveri”.
Per la conservazione in onto (detta anche oca in pignatto) le oche sono separate dalle loro parti grasse e tagliate a pezzetti. Le carni riposano sotto sale per alcuni giorni oppure sono cotte con erbe, aromi e un poco di vino rosso e, successivamente, si ripongono direttamente in un orcio di terracotta o vetro. Nella versione cruda si alternano pezzetti di carne a grasso d’oca fuso e foglie d’alloro, nella versione cotta invece si completa l’ultimo strato con il grasso fuso e si chiude il vaso.
La lavorazione in onto consente una lunga conservazione delle carni che durano in questo modo tutto l’inverno e, volendo, anche un paio d’anni. Al momento del bisogno si estrae dall’orcio la quantità di oca che serve e la si cuoce in casseruola per servirla come sugo o come secondo piatto.
È ottima con la salsa di cren, con le patate o la peperonata, e, in ogni caso, con la polenta e accompagnata a un buon vino rosso veneto.
Tipologia di allevamento
L’allevamento è semibrado: durante il giorno le oche pascolano nei terreni aziendali adibiti a tale scopo, secondo i principi della rotazione, durante la notte le oche stanno in un ricovero coperto.Gli animali vengono divisi in gruppi a seconda dell’età, questo per avere una dilazione di maturità e non doverli macellare tutti assieme. Lo spazio minimo occupato nel ricovero notturno è il seguente:
Fino al 50’ giorno di vita 0.30 m²/capo
Dal 51’ giorno di vita 0.50 m²/capo
La lettiera è di paglia e i ricoveri devono avere il pavimento tutto pieno. Nel ricovero notturno sono fondamentali acqua corrente a disposizione, luce, per la tranquillità dell’animale e contro i selvatici, integrazione alimentare.
L’area per il pascolo diurno è impostata in modo da rispettare il benessere degli animali fornendo uno spazio sufficiente per ogni capo e garantendo un’alimentazione naturale. La superficie destinata al pascolo delle oche è suddivisa in lotti che permettono la rotazione e la ricrescita del pascolo (la superficie minima dei quali può essere 10 mq per capo). Per tutte le altre indicazioni in materia di allevamento si fa riferimento ai parametri indicate nel Reg. 1804/99.
Il pascolo deve presentarsi sufficientemente diversificato con presenza di elementi naturali quali alberi e siepi. Negli allevamenti frequentemente viene praticato il “diserbo naturale” fatto da branchi di oche. Questo tipo di diserbo biologico è ammesso purché in precedenza non siano state fatte operazioni di diserbo chimico e concimazioni di copertura. In alcuni casi gli allevatori fanno anche pascolare le oche in frutteti, vigneti e pioppeti dove la forma di allevamento impedisca ai volatili di far danni ai frutti o alle piante. In ogni caso il pascolo non può essere effettuato nelle colture erbacee od arboree sottoposte a trattamenti chimici nell’anno in corso.
Non sono ammessi sistemi di mutilazione. Non vengono realizzate profilassi farmacologiche di tipo sistematico; sono possibili profilassi se imposte dall’autorità sanitaria (come le vaccinazioni) o profilassi episodiche su precisa indicazione del veterinario nel caso di alta probabilità del verificarsi gravi danni al benessere degli animali (esempio anti-stress nel caso di un periodo eccessivamente caldo e afoso che altrimenti può portare ad una eccessiva debilitazione degli animali). Negli interventi terapeutici viene data preferenza a prodotti fitoterapici ed omeopatici, mentre antibiotici o medicinali veterinari allopatici vengono utilizzati, su prescrizione del veterinario, solo se non esistono altri rimedi efficaci e qualora la cura sia essenziale per evitare sofferenze e disagi agli animali. Il tempo di sospensione tra l’ultima somministrazione di medicinali e la macellazione deve essere di durata doppia rispetto a quello stabilito dalla legge o, qualora non sia specificato, di almeno 48 ore.
Alimentazione
La razione alimentare è divisa in due tipologie:
La diurna consiste nel pascolamento ed eventuale integrazione di sottoprodotti vegetali (es: cocomeri, meloni, lattughe, pomodori, frutta).
La razione notturna è costituita da un’integrazione di mangime o materie prime preferibilmente aziendali.
Sono ammessi l’utilizzo di cereali, granaglie o farine e loro sottoprodotti: avena, orzo, triticale, frumento, farro, segale, mais, sorgo ; di semi oleosi e proteici e loro sottoprodotti: soia, girasole, lino, pisello proteico, favino, farina di medica, farina di medica disidratata; di olii e grassi vegetali autorizzati dalla normativa vigente; è ammessa l’utilizzazione, se necessaria, di integratori minerali e vitaminici previsti dal Regolamento (CE) n. 1756/2002 del Consiglio del 23 settembre 2002 che modifica la direttiva 70/524/CEE.
La razione notturna può essere suddivisa in due periodi: il primo, di svezzamento, più ricco in proteine (proteine gregge ca. 20%); il secondo, di ingrasso, dove le proteine scendono di 2-3 punti % a vantaggio dei grassi greggi (dal 4.5 al 6 %) e della fibra.
Nell’alimentazione degli animali sono comunque da preferire le materie prime locali; non devono essere impiegati antibiotici, stimolatori di crescita o altre sostanze intese a stimolare la crescita o la produzione. E’ escluso l’utilizzo di materie prime e mangimi prodotti anche solo in parte con organismi geneticamente modificati.
Macellazione
L’età minima di macellazione delle oche è 120 giorni, con un peso vivo medio corrispondente di circa 6.5 kg
Periodo di produzione
La macellazione delle oche ha inizio a settembre; la produzione dell’ “oca in onto” avviene nel periodo successivo alla macellazione.
Materia prima e trasformazione
Per la preparazione viene utilizzata tutta l’oca tranne la testa, le zampe e le parti interne, che hanno un altro destino.
Gli ingredienti base utilizzati sono la carne d’oca cruda, grasso d’oca, sale, pepe ed alloro; a questi ingredienti possono essere aggiunti – in base a tradizioni locali per valorizzare sapori e conservabilità – parte o tutti dei seguenti ingredienti:
bacche di ginepro, timo, maggiorana, semi di finocchio, basilico, chiodi di garofano, noce moscata, cipolla e peperoncino. E’ preferibile che gli ingredienti abbiano, quando possibile, una provenienza locale a meno che non siano altri Presidi Slow Food. Si aggiunge anche del vino, generalmente rosso, proveniente dalla zona di produzione.
Fasi di trasformazione
Oca in onto versione con carni conservate crude: una volta sezionata in tagli anatomici, la carne di oca viene messa in salatura dai due ai cinque giorni, in cella a temperatura controllata (2/4°). Dopo la salatura la carne viene ripulita dal sale in eccesso e messa ad asciugare per qualche giorno. Successivamente si prende il grasso (localmente detto “onto”), si scioglie ad una temperatura di 65/70° con l’aggiunta di alloro, un po’di sale e pepe. Una volta ottenuto un grasso liquido si procede al confezionamento in vasetti di vetro o in confezioni sottovuoto, in parti uguali tra carne e grasso, al punto che la carne sia totalmente ricoperta di grasso. Si procede poi ad una leggera pastorizzazione e poi all’abbattimento della temperatura.
Riguardo questa versione di preparazione dell’ “oca in onto” in alcune zone avviene un’affumicatura successiva alla salatura.
Oca in onto versione con carni conservate cotte: l’oca tagliata a pezzi è messa in una teglia coperta con aromi e una spruzzata di vino, fatta sobbollire a fuoco lento, senza arrostire fino ad un 80% ca. di cottura in modo che al momento di invasare le ossa non si stacchino dalla carne. Successivamente viene invasata e coperta col suo grasso.
La versione “cotta” può essere servita tal quale previa pulitura dal grasso e preferibilmente sfilacciata oppure dopo una breve riscaldata sul proprio grasso.
La versione “cruda” va presa lavata in acqua calda per togliere il grasso e il sale in eccesso poi viene messa in casseruola con verdure e vino rosso (brasata) poco pomodoro e spezie, fatta bollire a fuoco lento per alcune ore, poi a fine cottura viene consigliata l’aggiunta di piselli. Ideale in primavera , stagione dei piselli.
In alternativa il petto può essere consumato anche crudo con un minimo di conservazione nel grasso di 6, 7 mesi.
Conservazione
In passato l’ “oca in conto” si conservava da un anno all’altro; ora, per analogia con conserve carnee simili e tenendo presente condizioni sfavorevoli di conservazione da parte dell’acquirente (es: esposizione continuata a luce e/o calore, immagazzinamento non corretto), si indica prudenzialmente come shelf life (vita di scaffale) 6 mesi.
Tempi maggiori di conservazione sono a discrezione del produttore.
I vasetti vengono pastorizzati per consentire una maggiore conservabilità del prodotto.
Non si utilizza alcun tipo di coloranti, conservanti e additivi.
Caratteristiche chimiche fisiche e organolettiche
L’ “oca in onto” una volta veniva tradizionalmente confezionata in contenitori di terracotta o vitrei quali olla, pignatto, orcio, damigiana; attualmente i contenitori vitrei sono i preferiti. La confezione minima, e pari ad una porzione ca., pesa complessivamente – contenitore escluso – 350 gr, di cui 200 gr di sola carne. Alla vista il vasetto mostra pezzi di carne separati dal grasso che in funzione della temperatura ambiente può assumere una consistenza semisolida di colore tendente al bianco. Il colore dei pezzi di carne può variare dal rosso vivo nella versione “cruda” al rosato/marrone nella versione “cotta”. La consistenza dei pezzi d’oca, una volta estratti dalla confezione, offre una modica resistenza alla pressione fatta con una forchetta, ma non è tale da impedire la separazione della carne in pezzi più piccoli. All’apertura della confezione non devono essere avvertiti odori sgradevoli. Nella versione “cotta” si percepisce un lieve profumo di grasso e di carne d’oca . Nella versione “cruda” prevale il profumo del grasso e della carne tipica dell’ “oca in onto” cruda. Il sapore dell’”oca in onto” versione cotta all’inizio si presenta delicato, nonostante una nota leggermente piccante legata al ginepro e la robustezza tipica della carne d’oca. Successivamente il sapore ha note pronunciate e persistenti in cui emergono la consistenza e la sapidità delle carni dovuta al pascolamento. Nella versione “cruda” prevalentemente il sapore è di carne cruda stagionata e grasso o sentore speziato dovuto agli aromi usati.
Non devono essere presenti nitriti e nitrati.
La versione “cotta” può essere servita tal quale previa pulitura dal grasso e preferibilmente sfilacciata oppure dopo una breve riscaldata sul proprio grasso.